venerdì 6 gennaio 2012

La contraddizione di Courbet

Gustave Courbet, L'atelier del pittore. Allegoria reale
determinante un periodo di sette anni della mia vita
artistica e morale, 1855. Olio su tela, 359x598 cm.
(Musée d’Orsay, Paris)


Il 1848 rappresenta, per tutta l'Europa, l'anno delle grandi e sanguinose sommosse popolari. I moti di Parigi ne costituiscono uno degli esempi più drammaticamente emblematici. Gli operai, ai quali erano stati imposti salari di pura sussistenza e condizioni di lavoro disumane, esprimono violentemente il proprio malcontento costringendo re Luigi Filippo d'Orleans (1830-1848) a lasciare il trono e proclamando nel contempo la Seconda Repubblica, alla cui presidenza verrà poi eletto a suffragio universale Luigi Napoleone Bonaparte, nipote di Napoleone I.
Molte manifestazioni parigine vengono però represse sanguinosamente e anche Luigi Napoleone, inizialmente eletto quale esponente del Partito dell'Ordine, tornerà a schierarsi apertamente con la borghesia industriale, compiendo un'opera di restaurazione politica e sociale così radicale da culminare addirittura con il ripristino dell'impero (1852).

In questo contesto di grandi fermenti politici e sociali anche l'arte attraversa una sorta di crisi di identità. Di fronte ai nuovi fatti accaduti, al sangue versato sulle barricate del '48, alle condizioni di vita misere e depravate dei ceti popolari più bassi, l'artista non sembra potersi più nascondere fuggendo nel mondo incantato della mitologia e dello storicismo romantici. I movimenti realisti nascono proprio per rispondere a questa prepotente richiesta di vero e di quotidiano. In pittura come in letteratura non si vuole più ingannare, proponendo soggetti falsi o inconsistenti, ma al contrario si cerca di documentare la realtà nel modo più distaccato possibile, quasi analitico, similmente a quanto, in campo filosofico, veniva allora teorizzato dai pensatori positivisti.

In Francia il Realismo si sviluppa come metodo scientifico per indagare la realtà, spiegandone le contraddizioni e le miserie senza esserne però coinvolti emotivamente. L'unico fine dell'artista sarà pertanto quello di annotare minuziosamente le caratteristiche del mondo che lo circonda, astenendosi il più possibile da qualsiasi giudizio di tipo soggettivo. Il concetto di realismo è sempre stato connesso con quello di arte. Ogni periodo storico ha avuto il suo realismo in rapporto a quelle che erano le specifiche esigenze sociali e culturali del tempo.

Il capostipite indiscusso del realismo pittorico francese è Jean-Désiré-Gustave Coubert (1819-1877). Dopo aver iniziato la propria attività nel solco della tradizione romantica, ben presto arriva a rifiutare radicalmente ogni tipo di influenza e di compromissione con tutte le forme d'arte ufficiali e proclama che 'la pittura può consistere soltanto nella rappresentazione di oggetti visibili e tangibili'. In questa affermazione vi è già tutta la dirompente carica rivoluzionaria di Courbet che, anche nella vita privata, conduce la sua personale e coerente battaglia contro la cultura borghese della quale, secondo lui, l'arte accademica è espressione.

Nel 1846 egli scrisse 'dopo aver discusso sugli errori dei romantici e dei classici [...] [levai] una bandiera che si convenne chiamare realista'; nel 1850 'nella nostrà civiltà così incivilita bisogna che io conduca una vita da selvaggio; bisogna che mi tenga libero anche dai governi. Il popolo gode le mie simpatie; devo rivolgermi direttamente a lui, ricavarne il mio sapere, e dev'essere lui a farmi vivere. Per questo ho incominciato la grande vita indipendente del bohémien'.

Gli anni successivi furono per Courbet di grande impegno ideologico e di attività febbrile.
Nonostante egli sia sempre stato contrario all'insegnamento dell'arte, nel 1861 apre una propria singolarissima scuola, in evidente e aperta polemica con l'Accademia e le altre scuole d'arte ufficiali. Ai suoi pochi allievi Courbet insegna innanzi tutto che 'non ci possono essere scuole: ci sono soltanto pittori'. Courbet è infatti del parere che l'arte non possa essere appresa meccanicamente, ma che, al contrario, essa 'è tutta individuale e che, per ciascun artista, non è altro che il risultato della propria ispirazione e dei propri studi sulla tradizione'. Ai suoi allievi Courbet non impartiva lezioni teoriche, ma preferica piuttosto che gli stessero accanto mentre dipingeva, al fine di apprendere i segreti del mestiere, come avveniva nelle botteghe medioevali.
Insieme alle polemiche, comunque, incominciano a giungere anche i primi riconoscimenti. L'artista li accoglie senza grandi entusiasmi, intento più a rimanere fedele alla propria ispirazione realistica che a seguire le volubili oscillazioni del gusto. Questo rigoroso atteggiamento di assoluta intransigenza morale lo porta, nel 1870, a rifiutare anche la Legion d'Onore, la più prestigiosa delle onoreficenze cavalleresche di Francia. Nella sua cortese e leale lettera di rifiuto l'artista ricorda che 'l'onore non sta in un titolo, nè in una decorazione, ma negli atti e nei moventi delle azioni. Il rispetto di se stessi e delle proprie azioni ne costituisce l'essenza principale. Mi onoro di restare fedele a quelli che per tutta la vita sono stati i miei principii; se li rinnegassi, rinuncerei all'onore per averne il simbolo'.

Nel 1871 Courbet partecipa attivamente all'insurrezione di Parigi e, durante la breve stagione libertaria della Comune, viene eletto delegato delle Belle Arti. In seguito alla feroce restaurazione seguita all'esperienza comunarda, Courbet viene processato e condannato quale sovversivo, con l'ingiusta accusa di aver istigato l'abbattimento della monumentale Colonna Vendome.

Costretto a vendere all'asta tutte le opere, muore in dignitosa solitudine nel 1877.

Courbet è un artista che non conosce le mezze misure. Anche la sua sete di realismoha radici culturali lontane (dal Correggio a Caravaggio, da Tiziano a Rembrandt fino a Géricault), la tecnica che adotta è straordinariamente innovativa e personale. 'Bisogna incanaglire l'arte, da troppo tempo i pittori miei contemporanei fanno dell'arte ideativa, riprodotta dalle stampe'.
Ecco allora che anche nella scelta dei temi l'artista abbandona di colpo qualsiasi riferimento storicistico concentrandosi sui piccoli fenomeni del quotidiano, registrati con l'impersonale distacco di un osservatore oggettivo e ribadendo che il proprio scopo è comunque quello di 'fare dell'arte viva', esaltando 'l'eroismo della realtà'.

Nell' Atelier del pittore, che l'artista stesso definisce in modo volutamente contradditorio come 'un'allegoria reale', egli espone in modo compiuto tutti i propri ideali artistici e umani.

Le grandi dimensioni della tela alludono quasi provocatoriamente al gigantismo di molti dipinti accademici allora di moda, sempre affollati di personaggi storici entro ambientazioni classicheggianti.

Al centro della composizione, realizzata nel 1855, Courbet rappresenta se stesso intento a dipingere un paesaggio di Ornans con un cielo estremamente realistico e anticonvenzionale. Attorno a lui si affollano, nella fosca penombra dell'atelier, una trentina di personaggi. A sinistra sono rappresentate le classi sociali che vivono ai margini della società: operai, saltimbanchi, balordi. Hanno tutti la testa mestamente reclinata e l'atteggiamento pensoso. Nei loro volti senza sorriso si legge il pesante fardello della vita e dei suoi dolori. A destra sono invece i sogni e le allegorie. Tra queste l'amore, la filosofia, e la letteratura, alle quali Courbet ha imprestato i volti di vari amici e conoscenti. La Verità, nuda accanto all'artista, osserva con tenerezza l'opera che egli sta ultimando. Di fronte un bimbetto dai vestiti laceri guarda incuriosito: la verità è semplice e innocente, oltre che nuda.

Gli eventi della Comune di Parigi, che Courbet affrontò con la coerenza e con la dignità consuete, segnarono l'inizio di quel declino che nel giro di pochi anni porterà l'artista alla morte. La sua grande lezione artistica e morale, comunque, non andrà dispersa. Il , come lo chiamavano sprezzantemente i suoi detrattori accademici, apre di fatto la strada alla fervida stagione del Realismo francese, sulla quale si innesterà poi, pur se con accenti diversi, anche tutta la straordinaria esperienza impressionista.